La Cina compie un altro giro di vite nei confronti di dissidenti e attivisti politici. Liu Xianbin, attivista politico, autore di numerosi scritti sui temi della democrazia e dei diritti umani in Cina, è stato catturato dalla polizia e, al termine di un processo lampo durato solo poche ore ma preceduto da otto mesi di carcerazione preventiva, é stato condannato a scontare dieci anni di carcere. “Non ho fatto nulla, non sono colpevole”, ha gridato Liu alla lettura della sentenza, secondo quanto ha raccontato sua moglie, ammessa ad assistere all’udienza. Il processo e l’arresto di Xianbin arrivano in un momento in cui la Cina ha ripreso con decisione la repressione nei confronti dei dissidenti, molti dei quali sono persino spariti in maniera misteriosa, spesso senza lasciare alcuna traccia, dopo essere stati accusati di sovversione. Liu Xianbin è uno dei personaggi più noti da anni alle autorità cinesi. Nel 1989 partecipò alle proteste di piazza Tiananmen e in quell’occasione fu arrestato per la prima volta. Uscito dal carcere dopo due anni e mezzo circa, Liu riprese con forza la sua attività a favore della democrazia e delle riforme. Nel 1998 si unì ad un gruppo politico clandestino, non riconosciuto, il partito democratico cinese, che aiutò ad effettuare una raccolta di fondi. Nel 1999 finì di nuovo in carcere, condannato a scontare altri nove anni per sovversione di stato. Il dissidente non ha mai smesso di professare le sue idee e a manifestare il suo pensiero a favore della democrazia e dei diritti umani in Cina. Come quando ha apertamente manifestato il suo appoggio alla Carta 08, il documento redatto dal premio Nobel per la pace, Liu Xiaobo, anche lui in carcere per scontare una condanna di 11 anni. Di recente Liu Xianbin aveva ripreso a scrivere, focalizzando la sua attenzione ancora una volta sulle tematiche del rispetto dei diritti umani in Cina. Articoli questi che gli sono costati un nuovo arresto e una nuova condanna. Una condanna particolarmente severa quella decisa per lui, vista da alcuni analisti come un segnale che la Cina intende dare specialmente in un momento come questo in cui le tensioni e le proteste che hanno scosso il Medio Oriente hanno cominciato a smuovere anche una parte dell’opinione pubblica cinese. “La sentenza contro Xianbin – ha detto Wang Songlian, coordinatore per il gruppo di difesa dei diritti umani in Cina – è una sorta di avvertimento del governo ai dissidenti ma anche ai bloggers che sono stati di recente accusati di sovversione dopo le riunioni domenicali pro-democrazia delle scorse settimane. E’ un avvertimento a non svolgere attività di questo tipo”. Nei giorni scorsi il portavoce della Commissione per il Nobel a Olso aveva espresso preoccupazione per la sorte di Liu Xiaobo, del quale non si sono avuti nell’ultimo periodo notizie o aggiornamenti. Un silenzio, quello sulle condizioni e le sorti del vincitore del premio Nobel per la pace, che il segretario generale della commissione ad Oslo ha definito “senza precedenti”. La stretta di Pechino è rivolta nell’ultimo periodo verso i dissidenti, ma in generale verso tutte le minoranze o gruppi considerati come una potenziale minaccia perß la stabilità e la prosecuzione del suo sistema politico. In primo luogo contro gli uiguri, minoranza etnicaß mal vista per non assimilarsi, per cultura, tradizioni, lingua, alla identità sociale e politica della Cina. E’ solo di qualche giorno fa la notizia della condanna a morte di sette uiguri colpevoli, secondo le autorià, di omicidio e di aver raccolto soldi per una congiura terroristica.